Su “Gli spostamenti del desiderio” di Raffaela Fazio (Moretti & Vitali, 2023)

L’ultima silloge di Raffaela Fazio, interamente centrata sulle declinazioni possibili del desiderio, è un lavoro ben compatto, architettato con ingegno e precisione in tutte le sue parti, un edificio solido e armonico che riesce in ogni sezione a dare esempio e prova di versatilità nei contenuti e nei piani prospettici, in una sostanziale unità e coerenza di stile. Raffaela Fazio, d’altronde, ci ha abituato a saper costruire con rigore le sue sillogi, come dimostrato anche nei suoi lavori precedenti.

La raccolta si apre con l’intensa sezione “Black-out“, interamente centrata sulla perdita della persona amata, sezione così autentica perché prende le mosse dalle ragioni di un vissuto che tuttavia non snatura la profondità di una parola poetica toccante, capace di un rispecchiamento da parte di tutti per l’universalità del messaggio che è in grado di trasmettere. La parola poetica diventa allora il mezzo necessario per resistere, per preservare oltre il limite che il tempo impone i valori e i sentimenti che sono fondamentali per la nostra esistenza. Raffaela Fazio sa dare tutta una sua personale interpretazione del tema della perdita, giocata su una sobrietà e una lucidità di visione che amplifica il contrasto fra la verità che deve essere accettata e il desiderio che pretende la sua negazione o rimozione. Dice infatti Raffaela Fazio in una delle poesie più riuscite: “ti lascerò lo stesso / farò da sola il mio rito privato / sarà il punto messo dopo il verso / per te non scrivo più, sarà finita // (ma la punteggiatura / come il cuore / segue un altro corso)”.

Ma l’opera non è confinata nella sfera personale; la raccolta, come affermato da Giancarlo Pontiggia nei risvolti di copertina, “ha la consistenza di un quaderno morale“, sa unire allo “scandaglio interiore” (ossia la nostra “Materia oscura” come recita una sezione del libro) anche la consapevolezza di appartenere alla dimensione più vasta del mondo e della storia, prevalenti nelle altre sezioni. Particolarmente riuscite sono le immedesimazioni e le riscritture di tutta una serie di figure che derivano dal mondo della letteratura, del cinema, della storia, del mito (con il dialogo fra Persefone e Proserpina), procedimenti questi ai quali Raffaela Fazio ci ha già abituato nei suoi precedenti lavori, capace com’è di addentrarsi “nel fitto dei rapporti umani” per identificarvi, di volta in volta, “luce che filtra”, “filo abissale”, “materna chiarezza”. A essere messo in rilievo in questa raccolta rispetto alle precedenti è la centralità del motivo del desiderio (“rinati ogni volta / e più per desiderio / che per scelta”), da intendere principalmente come distacco, caduta, come del resto è evidente dalla sua radice etimologica (si veda anche l’illuminante prefazione di Alfredo Rienzi), e Raffaela Fazio sa essere particolarmente attenta alla matrice più profonda di ogni termine che impiega all’interno della sua poesia: sa quanto l’origine, la fonte è presupposto di autenticità.

Il quadro complessivo è dunque multiforme, estremamente variegato nei temi e nelle suggestioni, siano esse letterarie in senso lato o personali, ma tutto viene reso coeso dalla essenzialità e dalla precisione della parola dell’autrice, scarna come non mai, senza però essere arida. Il lettore viene arricchito da questa galleria in versi di esperienze e di personaggi, tutti unici nella loro peculiarità, diventando partecipe, con un processo di crescita interiore che lo porta a interrogarsi In primo luogo su di sé, facendolo quindi protagonista dell’opera. È questa vicinanza che più di tutto cerca Raffaela Fazio per la quale la scrittura, lungi dall’essere esperienza letteraria o confessionale, è soprattutto punto di raccordo con l’altro, dialogo incessante con chi sa ancora riconoscere la sua condizione di uomo o donna, in tutta la sua fragilità dialetticamente vissuta, e che non va nascosta né temuta.

Fotografia della copertina del libro, Fabrizio Bregoli

Per ulteriori informazioni sul libro si invita a consultare il sito dell’editore

Su “Smentire il bianco” di Silvia Patrizio (Arcipelago Itaca, 2023)

È sempre avvincente entrare in contatto con un nuovo autore, in particolar modo quando ad essere oggetto di lettura è un’opera prima. Il lettore si impone allora il compito di identificare quali siano le ragioni profonde della scrittura in oggetto, quali siano i modelli e i referenti formali e stilistici, quale sia la cifra specifica dell’autore rispetto alla produzione letteraria già esistente. L’incontro con la poesia di Silvia Patrizio è avvenuto con assoluta spontaneità e intimità di ascolto, fin dalle prime poesie della raccolta. Abbiamo apprezzato in particolare quella cura nella selezione del linguaggio e nella costruzione dei versi che indicano il bisogno di ridurre tutto all’essenziale, a ciò che davvero conta. In tal senso probabilmente va inteso anche il titolo del libro: “smentire il bianco” significa allora e innanzitutto avere rispetto di quel bianco che si cancella e che si segna con la propria scrittura. Il bianco però viene violato sempre a un prezzo molto alto, un conflitto interiore che impone scelte coerenti e ragionate, quelle che ci sentiamo di ritenere presenti all’interno di questa interessante opera prima.

La scrittura di Silvia Patrizio vive di accenni, gli sguardi laterali sul mondo, di elusioni e allusioni che ne rappresentano la tipicità, la forza e il fascino, che vive di contraddizioni e di asimmetrie sempre presenti. È una poesia ellittica , quella di Silvia Patrizio, senza voler essere oscura: ogni omissione o ambiguità è funzionale alla densità dei contenuti che sarebbero travisati se ridotti a un’unica chiave di lettura. Un particolare pregio va riconosciuto inoltre alla sezione finale dell’opera, in cui avviene la riscrittura di alcune figure del mito e delle eterno femminino, da intendersi come transfert o alter ego dell’autrice, mezzi per rendere l’esperienza soggettiva dell’autrice portatrice di significati più ampi, anche se sempre in forma allusiva e magmatica.

La poesia di Silvia Patrizio, felice nuova scoperta, si contraddistingue per la sua incisività caustica e discreta, elementi apparentemente inconciliabili ma talmente connaturati l’uno all’altro da non lasciare certamente indifferenti in un’autrice in cui la pratica dell’umiltà nella scrittura si combina con una consapevolezza artistica esemplare.

Immagine della copertina del libro tratta dal sito dell’editore:
https://arcipelagoitaca.it/products/smentire-il-bianco-di-silvia-patrizio

Per ulteriori informazioni sul libro si invita a consultare il sito dell’editore

Blocchi di partenza – Berenice Valerio

Per la nuova rubrica “Blocchi di partenza” sulla pagina Facebook “Poeti Oggi” l’incontro con la poesia di Berenice Valerio.

Buona lettura!

Potete consultare poesia e nota anche sul blog di Poeti Oggi:

https://www.poetioggi.com/2023/09/blocchi-di-partenza-fabrizio-bregoli.html

Tutti gli autori e le note di lettura pubblicate su Poeti Oggi sono consultabili alla pagina del blog Blocchi di partenza

Grazie alla pagina Facebook “Poeti Oggi” per l’opportunità di collaborazione.

Su “L’acerbo dei ricordi” di Gianfranco Isetta (La Vita Felice, 2023)

La poesia di Gianfranco Isetta ci è ben nota e particolarmente gradita per la sua capacità di attingere alle ampie possibilità del linguaggio scientifico e della natura, senza però essere vacuamente dotta o esibizionisticamente nozionistica, anzi sempre orientata – com’è suo tipico – a una concretezza espressiva dove l’aspetto filosofico ed esistenziale rimane il più rilevante. Gianfranco Isetta è ben consapevole che il compito principale della poesia è sapersi interrogare sulla vita che, heideggerianamente, trova il proprio significato più profondo nella attesa, pacata e consapevole, del suo destino finale e dimostra nei suoi versi di non temere quella soglia ultima, non per un epicureismo di ritorno o altro materialismo di sorta, quanto per un razionalismo emotivo caratterizzato da un invidiabile equilibrio di stampo oraziano.

Gianfranco Isetta è un poeta capace di creare un colloquio con la dimensione dell’indicibile dove appunto si colloca la cancellazione della nostra esistenza per attrarre da quel potenziale vuoto una densità di significati nuovi che servano a far luce sulla prospettiva più autentica della vita stessa. Non teme di parlare spregiudicatamente con la morte, perché è l’unica possibilità per fruire completamente la vita. “Non lasciano le impronte / i passi sulle foglie, / come il soffio del vento // ma sono qui a parlarne / con molta tenerezza / pensando al mio destino.” Gianfranco Isetta è attento allora alla pregnanza di ogni piccolo dettaglio, anche alla tenerezza e al mistero racchiusi in una foglia, alla gelosia e alla caparbietà dei gatti, ma senza ingenuità o idilli facili, anzi con una profonda consapevolezza della completa aleatorietà del macrocosmo e dell’esistenza nel suo insieme, regolata dalle leggi e dai principi della fisica quantistica e delle particelle (complice in questo anche la sua formazione da statistico e la sua vorace curiosità scientifica).

La misura breve del suo verso, con la naturale predilezione per il settenario in primis, conferisce leggerezza a un lavoro che pur affrontando temi impegnativi non diventa così troppo intellettualistico. Una poesia in cui “l’acerbo dei ricordi” è consapevolmente assunto, ma senza arrendersi, senza rinunciare alla speranza. Al tono tragico, inutilmente enfatico di tanta altra poesia, Isetta preferisce un’elegante ironia, ricca di understatement, “sino alla nudità della parola” (se ” tutto è tollerabile…” per dirla con Saffo).

Un libro da leggere, questo di Isetta, da frequentare nel tempo, per coglierne il fascino discreto, mai plateale, di un autore naturalmente determinato nella sua scrittura senza però doverla mai prevaricare.

Per ulteriori informazioni sul libro si invita a consultare il sito dell’editore

Su “The green eye of the fields – L’occhio verde dei prati” di Donatella Nardin (Fara Editore, 2023)

Donatella Nardin ci propone un progetto ambizioso di silloge poetica bilingue, in italiano e in inglese, con la traduzione a cura di Ivano Mugnaini: progetto che nasce senz’altro con l’intenzione di ampliare il pubblico potenziale destinatario dell’opera anche oltre la ristrettezza dei nostri confini nazionali. Il ricorso alla versione in una lingua diversa da quella originale contribuisce a ridefinire ogni singola composizione in una nuova luce grazie al lavoro pregevole e attento svolto dallo stesso Mugnaini secondo la prospettiva propria di una poesia del dialogo fra i due autori. La rilevanza assegnata alla traduzione emerge anche simbolicamente dalla presenza della stessa ad anticipare la versione in lingua, per istituire – intuiamo – un rapporto di parità tra le due.

La poesia di Donatella Nardin si conferma essenzialmente di matrice lirica, ossia una poesia dell’io che esplora in profondità le ragioni dell’esistenza, senza però chiusura ermetica in sé, ma con la consapevolezza di un necessario rapporto con il mondo, con la natura in particolare che diventa pietra di confronto, per analogia o per contrasto, con i moti interiori che animano il materiale poetico. Dell’importanza della dimensione temporale disquisisce diffusamente nella sua postfazione, precisa ed acuta, Riccardo Deiana, il quale correttamente evidenzia la pregnanza del recupero memoriale come elemento essenziale della riflessione poetica, della disamina della realtà nel conflitto fra risultati e attese, azioni e intenzioni, riscontri oggettivi e aspirazioni ideali. La voce dell’autrice, sempre limpida e determinata, si confronta con se stessa in un rapporto continuo con il mondo e con l’altro, prendendo le mosse dall’esperienza personale, in primis dall’infanzia identificata come terreno fertile di sollecitazioni e di aspirazioni che continuano a rimanere fondamentali nello sviluppo fondamentale della personalità di ciascuno: “Tornare a dire. Mai dimenticare / l’amaro veleno che ha spellato / le mani e le tenere piume”. Il contrasto fra ciò che è stato e ciò che sarebbe potuto essere instaura quel tono elegiaco, a tratti anche disilluso e tragico, che permea la raccolta senza mai cadere, però, in un pessimismo cieco e senza via d’uscita. Il costante rapporto con il macrocosmo naturale diventa allora possibile via d’uscita o di scampo dal solipsismo e da un’inquietudine insanabile, fratture profonde che la poesia esponendo senza diaframmi cerca, seppure imperfettamente, di compensare e di mitigare. L’elemento interessante della raccolta sta proprio in in questa complessa ricerca di equilibrio che si traduce nel frequente ricorso a un linguaggio che gioca sulle antitesi, sull’ ossimoro, sul contrasto come elementi di verità poetica da afferrare “prima che il verde esca dagli occhi / come le vite care divenute / allo sguardo pura nostalgia”.

Immagine della copertina del libro tratta dal sito dell’editore:
https://www.faraeditore.it/vademecum/Occhioverde.html

Per ulteriori informazioni sul libro si invita a consultare il sito dell’editore

Su “Il rumore della nebbia” di Mauro Macario (puntoacapo, 2023)

È sempre appagante leggere una nuova opera del poeta Mauro Macario. Pure nella sua assoluta coerenza e continuità sia nelle scelte contenutistiche sia nell’approccio stilistico, Macario riesce sempre, anche e soprattutto in questo lavoro, a risultare estremamente convincente e decisivo, ricorrendo a tutto quell’insieme di soluzioni formali e semantiche che lo contraddistinguono, senza doversi ripetere. Queste poesie nate nel corso dell’ultimo inverno, nell’arco di poche settimane, sono espressione di un’ispirazione artistica estremamente coesa e omogenea, nel rispetto di quei temi di rilevanza etica sia soggettiva sia collettiva che sono propri dell’autore. Macario riesce a unire con credibilità il tono comico e satirico a quello realistico o elegiaco – come nel ricordo struggente e mai patetico della perdita del figlio e degli amori trascorsi -, la riflessione interiore ed esistenziale con il paradosso e il grottesco, il bisogno di concretezza con l’ininterotta ambizione al sogno e all’ideale, duro a morire anche se bistrattato e  rinnegato dalla nostra società consumistica e opportunistica. Macario non ammicca per cercare consenso o sedurre il lettore, è fedele solo all’impertinenza e all’obbligo dettati dal suo fare poesia. ll quadro che ne nasce è di una deliberata non omologazione alle convenzioni della contemporaneità e dell’ordine costituito, stante che ” Io scrivo senza censure / perché poesia e anarchia / sono gemelle in utero mundi ” dice Macario, conscio com’è della propria unicità sia come persona sia come artista o eroe quasi sfinito, nella sua ironica autodefinizione. E l’ironia infatti è la chiave di volta che regge la struttura portante di questa nuova prova poetica in cui, come dice l’autore, è impossibile scrivere ” l’ultimo capitolo “, mettere il punto, nella consapevolezza che è preferibile ” a un tardivo sentimento” sempre e comunque “un insulto postumo “.

Immagine della copertina del libro tratta dal sito dell’editore:
https://www.puntoacapo-editrice.com/product-page/il-rumore-della-nebbia-mauro-macario