Sul lit-blog Laboratori Poesia trovate oggi la nota di lettura a “Poema della fine” (Terra d’ulivi – 2020) di Vasilisk Gnedov, traduzione di Mattia Tarantino.
Dalla nota di lettura:
“È un’interessante proposta e al tempo stesso una provocazione, certamente una proposta spiazzante per qualunque lettore che non abbia una conoscenza dell’opera di Gnedov, questa traduzione ideata da Mattia Tarantino per i tipi di Terra d’ulivi. Senza anticipare il contenuto dell’opera (e senza rovinare l’inevitabile sorpresa che coglierà il lettore nel suo rapportarsi al poema) riteniamo che una proposta come questa, in un periodo storico che è subissato dal proliferare di versi e di poeti, dalla moltiplicazione incontrollata delle opere, serva a ricondurre tutti a un maggior senso di sobrietà e di riflessione sul significato di “ricerca poetica”, sul rispetto che merita la parola.
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È quindi sensato e opportuno procedere alla traduzione di un’opera come questa, come s’è arrischiato Mattia Tarantino? Siamo di fronte alla traduzione più facilitata possibile di un originale, e paradossalmente alla traduzione più fedele e più perfetta fra tutte le traduzioni che si possono immaginare per qualunque opera letteraria? Finalmente possiamo parlare di una resa alla pari nel passaggio da una lingua all’altra, senza traumi, senza travisamenti, senza tradimenti? Gnedov ci ha aperto la strada di un linguaggio davvero universale, senza esperanto? E vale lo stesso per la versione speculare di Tarantino?
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Nell’opera di Gnedov assistiamo alla nullificazione di tutte le forme verbali possibili della lingua russa così come nella traduzione di Tarantino avviene per tutte le forme verbali della lingua italiana: ciascuna di queste forme è singolarmente diversa all’altra, ogni singola traduzione di queste forme dall’una all’altra lingua inevitabilmente imperfetta e tradita, anche se la risultante (il bianco) è la medesima. Solo apparentemente i due testi sono perfettamente combacianti; in realtà restano non sovrapponibili, addirittura antitetici e respingenti. La superficie apparentemente liscia e polita di entrambi nasconde tutte le irriducibili scabrosità microscopiche delle loro componenti atomiche.
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Recensione a “Poema della fine”
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