Diciannovesimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è Maestri, con il confronto fra poesie di Dante, Praga, Pound, Valduga.
Ogni autore, aldilà dell’originalità e dell’intima ragione che muove i suoi versi, non può rinunciare alla tradizione letteraria che lo ha preceduto e, sia esso esplicitamente dichiarato o meno, ha sempre dei modelli, dei maestri ai quali è, a vario titolo, debitore. Dalla unione fertile fra innovazione e tradizione la letteratura trae nuova linfa, nuove forme di espressione. Dedichiamo quindi questo intervento ai maestri, alle guide che per gli autori qui analizzati sono un importante termine di confronto.
Nel caso di Dante è impossibile ignorare Virgilio, tanto che Dante lo elegge a sua guida nei primi due regni ultraterreni. Virgilio è “maestro”, “de li altri poeti onore e lume”, è stato lui a insegnare a Dante “lo bello stilo”, l’arte dei versi, ed è lui che aiuterà lo “scolaretto” Dante a comprendere passo a passo la complessa architettura, la logica profonda sottesa a Inferno e Purgatorio, accompagnandolo nel suo viaggio di redenzione etica e spirituale. […]
Il rapporto con i maestri può essere anche di ripudio, come avviene per Emilio Praga, figlio della Scapigliatura milanese, che nel suo “Preludio” adotta tutto il linguaggio e le espressioni dei poeti maledetti, Baudelaire in particolare, le cui citazioni sono insistenti nel testo (“Noia”, “Ideale”, “fango”, “nemico lettor”, “bagni d’azzurro”) per un evidente bersaglio polemico. Il “nemico” da abbattere è Manzoni, “casto poeta che l’Italia adora”, emblema di tutto un perbenismo in poesia contro cui la Scapigliatura scende in campo, in ulteriore polemica con Manzoni, per dire “il vero”, che non è il vero manzoniano, ma solo “una misera canzone” scritta dai “figli dei padri ammalati”.
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EMILIO PRAGA
(Da “Penombre” – Milano, 1864)
PRELUDIO
Noi siamo i figli dei padri ammalati:
aquile al tempo di mutar le piume,
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull’agonia di un nume.
Nebbia remota è lo splendor dell’arca,
e già all’idolo d’or torna l’umano,
e dal vertice sacro il patriarca
s’attende invano;
s’attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan l’esausta vergine s’abbranca
ai lembi del Sudario…
Casto poeta che l ‘Italia adora,
vegliardo in sante visioni assorto,
tu puoi morir!… Degli antecristi è l’ora!
Cristo è rimorto!
O nemico lettor, canto la Noia,
l’eredità del dubbio e dell’ignoto,
il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia, il tuo cielo,
e il tuo loto!
Canto litane di martire e d’empio;
canto gli amori dei sette peccati
che mi stanno nel cor, come in un tempio,
inginocchiati.
Canto le ebbrezze dei bagni d’azzurro,
e l’Ideale che annega nel fango…
Non irrider, fratello, al mio sussurro,
se qualche volta piango:
giacché più del mio pallido demone,
odio il minio e la maschera al pensiero,
giacché canto una misera canzone,
ma canto il vero!
[…]
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L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
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