Pietro Romano, autore della nuova generazione nata negli anni ’90, con una formazione letteraria matura e consapevole, propone nel suo nuovo libro una poesia in prosa (non abbiamo mai amato il termine prosa poetica che ci appare riduttivo, se non addirittura fuorviante) caratterizzata da una dizione profonda e misteriosa; è come se l’autore ci ponesse in continuazione delle domande, anche quando la forma aforistica di molti testi sembra avere, in apparenza, una cifra sentenziosa, sapienziale.
La poesia di Pietro Romano è allora una poesia dell’investigazione e del dubbio, una poesia che si interroga sulle questioni esistenziali fondamentali, senza mai però ostentarlo con saccenza, affidandosi alla parola come strumento di conoscenza, con tutti i suoi sottintesi e significati nascosti, con il mistero che naturalmente la pervade. Si rimane spesso spiazzati da queste brevi sentenze, dalla successione di ipotesi e di alternative proposte, proiettati in orizzonti di senso che sembrano in continuazione convocarsi a raccolta, cercare una sintesi, senza mai trovarla se non nel mondo interiore di chi legge.
Le case, a cui si fa riferimento nel titolo, perdono allora il loro ruolo consueto di luogo dell’accoglienza, della familiarità e della sicurezza domestica, ma diventano appunto territori inesplorati, ambienti contraddittori e sommersi, terra di mezzo da attraversare con chiavi di senso che vanno appunto dissepolte, restituite alla luce che solo la parola può dare loro.
Il lettore è chiamato a un percorso di disvelamento interiore, tutt’altro che rassicurante, come se ogni testo aprisse in questa casa poetica una nuova porta che si affaccia a sua volta su altre case, altre regioni da esplorare in un susseguirsi e intricarsi di instradamenti e di smarrimenti.
Un libro da cui farsi attraversare, da vivere pagina dopo pagina, che consigliamo calorosamente di leggere.
Del libro è disponibile un’interessante nota di lettura su Laboratori Poesia a firma di Melania Panico.
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