Massimo Morganti Capirossi, continuando un esperimento di scrittura che dura da anni e che vedrà presto un nuovo capitolo, sceglie un percorso originale per dare voce alla sua parola poetica: il mascheramento dell’io con il tramite di un alter ego o di una “persona” che ha il volto di Auro Stuparich: strada questa che porta a una libertà (e al contempo una responsabilità) poetica particolari, erede della scoperta disarmante che si deve ancora a Rimbaud: “je est un autre”. Non è dato sapere quanto vi sia di immaginario e quanto faccia riferimento a persone o circostanze reali nella figura di Stuparich, che si pensa vissuto fra gli ultimi anni del XIX secolo e gran parte del XX secolo: l’importante è che sia lui l’autore dei versi, e l’autore del libro (Capirossi) un suo “trascrittore” o “interprete”, che concepisce quindi i versi riportati, come dice quest’ultimo con un’espressione molto felice, “falsi innocui d’autore“. Assistiamo dunque a un consapevole sdoppiamento che consente, a un professionista dell’avvocatura e a un intellettuale autore di numerose pubblicazioni, di autosospendersi nel momento in cui scrive questi versi, nati dunque da un’identità altra che lascia testimonianze di sé, tutte datate e documentate in modo preciso: ogni poesia riporta in coda la data e il luogo della composizione. Si origina così una disseminazione di versi attraverso gli anni e i luoghi, eludendo la facile tentazione diacronica, versi che offrono un quadro complesso e multicentrico, con una consapevolezza stilistica e una maturità compositiva che sono evidenti fin dalle “note dell’autore” in apertura che sono precise e programmatiche dichiarazioni di poetica.
Come sostiene, nella postfazione al lavoro, Adriana Gloria Marigo, con la quale concordiamo nell’analisi, la poesia di Capirossi, pur non rinunciando alla comprensibilità e a un linguaggio che in definitiva preso in sé è accessibile, innesta un “flusso continuo di memoria” e “rifrazioni sensoriali” che complicano indubbiamente il quadro e rendono la sua poesia a tratti ermetica, a tratti onirica o, meglio, sospesa fra la realtà del fatto e la supposizione di un suo diverso accadere: “tutti cerchiamo una parola / che varchi il sole e l’ombra, / porta su sé il peso di tanto colore.” E, in effetti, la parola poetica di Capirossi segue percorsi che non sono mai quelli diretti per congiungere due punti ma tenta di istituire relazioni con il tramite di figure più articolate e eccentriche. Ecco allora un uso molto pervasivo della sinestesia, dell’analogia, dell’associazione inconsueta che spesso portano alla destrutturazione del linguaggio sintattico ordinario con inserzioni anomale, deviazioni semantiche: il registro tende poi a un plurilinguismo anch’esso anti-convenzionale. Non è semplice la navigazione in questi versi, di frequente sfidanti o sfuggenti: è richiesto di abbandonare la superficie razionale della dizione e affidarsi al naturale evolversi di una scrittura che, in un certo senso, avviene in un orizzonte atemporale e onnipresente: “non esce voce / senza tutto questo universo / di tempo e mistero”. Il mondo di Stuparich si costella allora di situazioni insolite e borderline, percezioni di varchi possibili (c’è anche un sostrato montaliano confermato da alcune notazioni paesaggistiche tipicamente liguri), recuperi memoriali, figure femminili che sono apparizioni enigmatiche (e che ci ricordano certe “presenze” di Barberi Squarotti), consapevole com’è l’autore che “per sorgere / le cose ti chiudono gli occhi”.
Insomma, si tratta di un libro denso, capace di attivare tutta una serie di stimoli intellettuali e interiori, che lo rendono materiale arduo ma anche intrigante, sempre nuovo a ogni lettura, a dimostrazione della consapevolezza e della perizia tecnica del suo autore.
Per informazioni e per l’acquisto libro di seguito il link con la pagina dell’editore
Per leggere le recensioni ad altri libri: Recensioni a cura di Fabrizio Bregoli