Ottantaquattresimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è Ulisse con il confronto fra poesie di Dante, Kavafis, Saba, Seferis.
La figura di Ulisse esercita da sempre un’influenza rilevante sulla letteratura; il personaggio della classicità, assurto a esempio o simbolo, è stato quindi riproposto e riletto nel corso dei secoli, in accordo alla sensibilità degli autori che ne hanno trattato e allo spirito del loro tempo.
Offriamo qui una selezione minima, con la consapevolezza che non è certamente esaustiva.
Una delle raffigurazioni più influenti di Ulisse è senza dubbio quella dantesca in cui Ulisse, dopo aver fatto ritorno a Itaca, mai sazio di nuove conoscenze, decide di partire per un nuovo viaggio fino ai confini del mondo, per varcare le mitiche colonne d’Ercole. I versi proposti partono con la celebre esortazione di Ulisse ai compagni perché prendano coraggio per la nuova impresa, quella di esplorare il “mondo sanza gente”: non è solo bisogno di avventura, ma è necessità imprescindibile di ogni uomo “seguir virtute e canoscenza”, ossia ampliare lo scibile, conoscere il mondo, dare pieno corso alle proprie capacità e potenzialità. Di fronte a questa esortazione è impossibile trattenersi, pur sapendo il rischio che si corre. La narrazione dantesca prosegue con la descrizione del viaggio, combinando elementi avventurosi e fantastici, fino all’apparizione della “montagna” (il Purgatorio), linea di interdizione, divieto che non è consentito violare, nemmeno a un uomo come Ulisse. La scena del gorgo che inabissa la nave è di straordinaria modernità, anticipando tanta letteratura che sarà, da Melville a Poe, da Conrad a Stevenson.
DANTE
(Da “La Divina Commedia”, Inferno, dal Canto XXVI)
“O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo,
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso”.
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L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
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