
Oltre Infinito è un libro che raccoglie i testi poetici della esperienza di poesia performativa omonima (Oltre Infinito 1, Oltre Infinito 2.0, Ol3 Infinito) che Vincenzo Lauria (VL) e Liliana Ugolini (LU) hanno realizzato in un progetto in cui si uniscono poesia, musica, teatro, cinema, pittura e collage – immagini, video, voce, luci – in un’idea di arte totale che travalichi i compartimenti stagni fra le forme e i generi, “in una totalità allargata e cosmica” (LU). Progetto questo che va apprezzato innanzitutto per lo spirito di condivisione fra autori, che va in contro-tendenza con la naturale pulsione narcisistica di ciascuno: qui le individualità, nel rispetto e nella stima reciproci, si fondono, si integrano e intersecano in un’esperienza poetica comune. Oltre Infinito è anche “manifesto” dell’oltranza: ripudiando la poesia “intimistica” e, dunque, la poesia tutta centrata sull’io, Oltre Infinito è la proposta di una poesia, la cui materia è “scientifica e tecnologica”, privilegiando “contenuti a carattere non autoreferenziale” (VL) e quindi impone all’io di proiettarsi sul mondo, di espandersi verso l’ esterno soggetto / oggetto della poesia – “L’altro è il mio fuori e dentro di noi due / due filastrocche tonde in uroboro” (LU) -, l’Altro come mezzo per riscoprirsi più autenticamente. “La destinazione è l’espansione del circostante / in un perenne non-arrivo a un non-dove finito”: scommessa quindi di un’oltranza che, lungi dal ritenersi perseguibile, deve il suo significato alla ricerca in sé, alla sfida imposta dalla soglia perché “Il margine oltrepassato è terra libera” (VL).
È proprio grazie all’indagine, allo sprofondamento nel magma della nuova realtà tecnologica, informatica e cibernetica, nella realtà virtuale e nel tessuto connettivo delle reti di telecomunicazioni, onde radio e fibre ottiche, grazie a tutto questo – dicevamo – che è possibile prendere coscienza del rischio, sempre più pervasivo, della disumanizzazione, della perdita della dimensione interiore e spirituale dell’uomo, in un processo di alterazione che porta l’uomo verso la sua riduzione meccanicistica, alla prospettiva concreta del cyborg, alla falsificazione come nuovo paradigma di verità (a cui naturalmente ogni poesia, conscia del proprio ruolo etico, come quella dei due autori, non può se non ribellarsi). Ecco allora versi come: “Decostruisco la vista che m’automa” (LU), “Tecnologicamente obsoleta / la trama del vivere si dopa virtualmente” (VL), “con la presente intendo inoltrare autodenuncia / per abusiva costruzione / di una multi-proprietà identitaria / ospitata in una volumetria in perenne espansione” (VL).
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