Sessantatreesimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è Il mare con il confronto fra poesie di Montale, Penna, Walcot, Conte.
Il mare, elemento primordiale associato alla nascita, alla rigenerazione, o ancora forza primigenia e misteriosa, o ancora simbolo dell’infinito inconosciuto e indecifrabile, o ancora luogo dell’avventura e della sfida dell’uomo alla natura e al destino: sono molteplici le associazioni possibili con questa componente costitutiva della natura, capace di incantarci e sorprenderci, protagonista di moltissimi versi di cui si offre una selezione, per quanto minima, nel confronto di oggi.
Partiamo con Montale che al suo mare di Liguria, il Mediterraneo, dedica, soprattutto nel suo primo libro “Ossi di seppia”, numerose poesie, fra cui quella scelta, in cui avviene l’immedesimazione fra mare e autore “ubriacato dalla [sua] voce”, nella consapevolezza per il giovane Montale che quel mare, luogo delle vacanze, gli è “antico” compagno; “ il piccino fermento / del mio cuore non era che un momento / del tuo”: ecco allora la necessità di rimuovere da sé ogni “lordura” della vita, come fa il mare con “le inutili macerie del [suo] abisso“, per riscoprirsi forse più indifeso, ma più autentico.
EUGENIO MONTALE
(da Ossi di seppia – Gobetti, 1925)
Da “MEDITERRANEO”
[…] Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso: e svuotarmi così d’ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
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L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
Per consultare l’elenco di tutte le uscite del martedì della rubrica Poesia a confronto accedere al link.
L’incantesimo di questa sequenza deriva (anche) da una sintassi organizzata secondo studiate ed occulte simmetrie: innanzitutto tra il cuore delluomo e quello del mare, che si richiamano in apertura di due versi consecutivi, poli giustapposti e complementari dell’infinita dialettica tra micro- e macrocosmo; e tra segmenti omosillabici (“che il piccino fermento” /”non era che un momento”) che vanno a intessere una sorta di seconda metrica, interna e nascosta rispetto a quella graficamente riconoscibile, ma che sovrapposta a quest’ultima imprime al flusso della riflessione verbale un ritmo uniforme e cullante di mareggiate e risacche, eco dell’alternarsi sempre uguale di sustolene diastole in cui il cosmo scandisce il proprio respiro.
Grazie Guglielmo, commenti come questo danno grande valore e amplificano il confronto
*sempre uguale di sistole e diastole