Sul terzo numero del blog CasaMatta appare un mio articolo che prosegue la serie di interventi in cui cerco di istituire relazioni fra tecnologia e letteratura. Questa volta si parla di campionamento.
Teorema del campionamento: applicazioni letterarie
Dico nell’articolo :
“Nel caso in cui il lettore abbia resistito fino a questo punto e la sua emicrania sia ancora sostenibile, perché mai si parla allora di applicazioni letterarie? Che c’entrano Shannon e Nyquist con Shakespeare o con Céline? È un luogo comune che la letteratura sia una rappresentazione della realtà, della vita se preferite. Prendiamolo pure per buono e facciamo un passo oltre. La realtà con cui ci confrontiamo con l’esperienza quotidiana è – abbiamo detto – analogica; per cui la letteratura che la rappresenta, essendo impossibilitata in via pratica a esserne una fedele replica, ne è in qualche modo una conversione da analogico in digitale o, se preferite, un campionamento. Diverso sarà il risultato della rappresentazione in funzione del campionamento effettuato.
Nel caso in cui venga fatto un campionamento fitto (a frequenza elevata dunque) otterremo numerosi dettagli della realtà, una sua rappresentazione il più possibile ampia e fedele, in accordo all’idea classica di arte come mimesi della natura: una tale forma di campionamento ci fa pensare immediatamente a un trattato storico, un romanzo tradizionale, magari con un narratore onnisciente, o un poema epico-cavalleresco o un romanzo moderno in cui può avvenire una selezione dei fatti narrati, ma dove questi seguono una razionalità e un ordine molto definiti.
[..]
Se pensiamo allo Zanzotto di “Galateo in bosco” (Mondadori, 1978), al “Sonetto di sterpi e limiti”:
Sguiscio gentil che fra mezzo erbe serpi,
difficil guizzo che enigma orienta
che nulla enigma orienta, e pur spaventa
il cor che in serpi vede, mutar sterpi;
nausea, che da una debil quiete scerpi
me nel vacuo onde ogni erba qui s’imprenta,
però che in vie e vie di serpi annienta
luci ed arbusti, in sfrigolio di serpi; […]
il campionamento pare a prima vista incongruo, la direzione intrapresa imprecisa, aperta ogni chiave di lettura; forse il titolo dà qualche indizio (ma sarà autentico?). Il segnale digitalizzato è difficilmente espressione univoca di un segnale analogico all’origine; tutta la realtà viene accolta, ricombinata, interpolata per creare un segnale nuovo che non è più né analogico, né digitale: è zanzottiano e del lettore zanzottiano, semplicemente. Crolla la presunzione della ricostruibilità.
Siamo ancora certi che la digitalizzazione, da sola, sia la risposta? O non è sempre l’uomo il fine, la ragione ultima, causa della sua stessa indecifrabilità?

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