Sul secondo numero del blog CasaMatta appare un mio articolo in cui cerco punti di contatti fra algoritmi crittografici e parola poetica.
Crittografia e poesia: qualche postilla eretica
Dico nell’articolo :
“Tutto quanto finora esposto, disponibile in qualunque manuale di sicurezza informatica e di teoria dei codici (si veda la bibliografia di riferimento, sotto), e quindi presentato qui senza alcuna pretesa di originalità, ci serve proprio a capire come la poesia sia molto simile, sotto parecchi aspetti, alla crittografia. Infatti in poesia un messaggio che può essere di varia natura, ma in generale appartiene alla sfera privata e intima dell’autore, viene “trasformato” grazie all’uso del linguaggio in un messaggio, per così dire, nuovo, ma in ogni caso “alterato”, riplasmato; questa alterazione sta alla base della poesia che, se si limitasse a un’esposizione piana e standardizzata, si ridurrebbe a mera prosa o cronaca, non offrirebbe uno sguardo alternativo sul mondo. Usando la “chiave” della sua interiorità e sensibilità, l’autore scrivendo una poesia rielabora e, in un certo modo cripta, il suo mondo interiore, la vita quotidiana, la realtà che lo circonda, e, impiegando la forma letteraria, li trasforma in una materia nuova secondo gli schemi tipici della poesia: la metrica, la forma chiusa o libera, le figure retoriche, gli altri espedienti del “mestiere”. Sono vari i livelli a cui può avvenire questa alterazione, che contribuisce al maggiore o minore grado di comunicabilità (e di difficoltà spesso) della poesia: tutto attiene alla scelta esplicita dell’autore, alla sua formazione letteraria, al suo gusto e al suo stile, ma fondamentalmente alla sua poetica. Fin dalle origini della letteratura in forma volgare, infatti, si formalizza la distinzione ben nota, nella poesia provenzale, fra trobar leu (la poesia comunicativa) e trobar clus (la poesia ermetica o sperimentale, diremmo oggi), a cui spesso si aggiunge il trobar ric, assimilabile però per la nostra trattazione al trobar clus. È come se l’autore scegliesse di impiegare (o gli venisse imposto dal suo “daimon”), a seconda dei casi, algoritmi crittografici di diverso impatto e che portano a un minore o maggiore “occultamento” del messaggio all’origine della composizione poetica. Basta leggere “Croce e delizia” di Penna e “Millimetri” di Milo De Angelis e confrontarli per capire di cosa si stia parlando. Al lettore resta il compito di decriptare la composizione poetica, impiegando o una chiave privata comune e condivisa come nella crittografia simmetrica (pensiamo alla poesia di ricerca o a quella “settaria”, come per i “fedeli d’amore” dello Stilnovo, in cui autore e lettore condividono in sostanza un ecosistema di valori e di concezioni letterarie comuni e necessari per la corretta interpretazione della poesia) o una chiave privata esclusiva come nella crittografia asimmetrica (comune in questo caso è il sostrato culturale sotteso alla poesia, che però resta un’opera aperta e liberamente interpretabile dal lettore, che la declina soggettivamente, sulla base della sua esperienza, della sua percezione e della sua sovrastruttura di convinzioni e di ideali; concezione questa che si afferma fondamentalmente dalla stagione romantica in poi).
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Mentre negli algoritmi crittografici l’impiego di una “chiave” non esatta rende impossibile la decifrazione o porta a una decifrazione errata o manchevole del messaggio originario, in poesia ciascun lettore può decriptare il messaggio poetico e trarne sempre un significato valido e personale, grazie alla sua “chiave” privata di lettura. Il messaggio decriptato non è mai identico al messaggio della sorgente, anzi è sempre rimodellato e rinnovato nelle sue fondamenta. Così il lettore riscrive la poesia originaria, si fa partecipe e co-autore della poesia stessa, fruitore e artefice insieme del crittogramma.

Potete leggere l’articolo completo sul blog CasaMatta