Cinquantacinquesimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è La Pioggia con il confronto fra poesie di D’Annunzio, Prévert, Bertolucci, Cappello.
La pioggia ha senz’altro un fascino indiscutibile ed è capace di suscitare sentimenti molto diversi e spesso contraddittori: più spesso si associa alla malinconia, in combinazione con il suo sopraggiungere in chiusura dell’estate, ma il suo elemento acquatico, primigenio e fondativo dell’esistenza, la carica di molte altre implicazioni, sfaccettature su cui i poeti hanno costruito versi molti dei quali ormai patrimonio della nostra tradizione letteraria.
Partiamo da un grande classico della letteratura italiana, croce e delizia degli studenti quando ancora si usava imparare le poesie a memoria: La pioggia nel pineto. Capolavoro assoluto dell’estetismo dannunziano è la poesia manifesto di Alcyone in cui trova realizzato al massimo grado quel sentimento di appartenenza panica alla natura che anima l’intera raccolta. La costruzione della poesia, in strofe lunghe con prevalenza di versi liberi, si basa su frequenti rime, assonanze, rime interne, giochi verbali che modulano un ritmo musicale unico, contrappuntistico, tutto volto alla messa in evidenza di quel clima di “favola bella” d’amore che ne è il motivo di fondo.
Altrettanto celebre, come Ermione, è anche la Barbare dei versi di Prévert. La pioggia della Bretagna che vide ieri svolgersi sotto gli occhi del poeta il compiersi di un amore è rimasta la stessa, a cadere incessantemente per le vie, presso il mare, ma oggi tutto è cambiato: siamo in tempo di guerra, quella “pioggia buona e felice” è diventata una “pioggia di ferro”, “di sangue”, “di lutti terribili” che si consumano senza senso. La desolazione è assoluta, nessun amore può compensarla, tutto scompare in un nulla onnivoro, come “i cani che spariscono / sul filo dell’acqua a Brest”. Poesia dell’immediatezza e della spontaneità, questa di Prévert, elemento che ha contribuito a decretarne il successo.
[…]
GABRIELE D’ANNUNZIO
(Da Alcyone – Treves, 1903)
LA PIOGGIA NEL PINETO
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
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L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
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