Trentunesimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è Zanzare, con il confronto fra poesie di Materdona, Scialoja, Marcoaldi, Neri.
Le zanzare, compagne delle afose serate estive (e dato il cambiamento climatico non più solo di quelle…), sono da sempre sinonimo di fastidio, scocciatura alla quale porre rimedio. Fra gli animali, insieme a ragni, scorpioni, scarafaggi, non brillano sicuramente per simpatia. È quindi curioso indagare la loro presenza in poesia.
L’arguzia barocca trova un esempio insigne nella poesia proposta di Materdona, poeta della metà del ‘600. Con elegante ironia il poeta cerca di crearsi un’alleata nella zanzara (definita in modo colorito “tromba vagante”, “fremito alato” e “mormorio volante”), per insidiare finalmente colei che se lo merita davvero: la esorta a pungere la sua amata che con la sua “dorata frezza” (simbolo arci-noto dell’infatuazione amorosa) è origine vera del “turbamento” del poeta, perché “basta a non riposar l’esser amante”. Altro che punture di zanzara…
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GIANFRANCESCO MARIA MATERDONA
(Da “Rime” – Genova, 1660)
A UNA ZANZARA
Animato rumor, tromba vagante,
che solo per ferir talor ti posi,
turbamento de l’ombre e de’ riposi,
fremito alato e mormorio volante;
per ciel notturno animaletto errante,
pon freno ai tuoi susurri aspri e noiosi;
invan ti sforzi tu ch’io non riposi:
basta a non riposar l’esser amante.
Vattene a chi non ama, a chi mi sprezza
vattene; e incontro a lei quanto più sai
desta il suono, arma gli aghi, usa fierezza.
D’aver punta vantar sì ti potrai
colei, ch’Amor con sua dorata frezza
pungere ed impiagar non poté mai.

L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
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