Fabio Prestifilippo, con grande cura e con intuizioni davvero originali, ha scritto questa nota di lettura su “Notizie da Patmos” (La Vita Felice, 2019), nota che analizza la raccolta partendo dalla prefazione di Piero Marelli e mettendo alla prova dei “fatti poetici” l’argomentazione secondo cui: ““Le parole di Bregoli riemergono da un fondale che sembra poco rassicurante ma hanno il coraggio della realtà”. (P. Marelli)
Ne nasce un interessante excursus che prendendo a riferimento il valore simbolico dell’isola, e di Patmos in particolare, e avvalendosi della psicologia di Lacan porta a una lettura personalissima del libro.
La nota nasce come contributo critico alla presentazione di “Notizie da Patmos” che si è tenuta on-line sul canale di Residenze Poetiche il 01/10/2020
Gli siamo davvero riconoscenti per questa sua lettura così precisa e intensa, che condividiamo con grande piacere.
Piero Marelli, poeta annoverato fra i grandi del vecchio e del nuovo secolo, scrive nella prefazione: “Le parole di Bregoli riemergono da un fondale che sembra poco rassicurante ma hanno il coraggio della realtà”. Una proposta, quella di Marelli, che di primo acchito non mi convinse poichè consideravo discontinua rispetto all’analisi complessiva del suo scritto. Non mi convinceva l’accostamento forzoso tra la dimensione della realtà e quello della chiarezza degli intenti poetici.
Nelle pagine successive – in esergo credo – Bregoli ci informa sull’origine della parola Algebra che proviene dall’arabo e che: “ significa “unione” “connessione”, ma anche aggiustare, rimediare. Le strutture algebriche – come matrici lineari, gruppi finiti, campi di Galois – rispondono all’idea di un’unione praticabile, per costruire universi misurabili. Docili. Uno spazio dominabile. Finalmente nostro. Una paternità restituita. L’algebra è, nel suo stesso atto costitutivo, anello di congiunzione. Arte della riparazione. (Come la poesia).”.
Il linguaggio della matematica, come quello di tutte le discipline caratterizzate da un lessico duro, non può permettersi la mancanza, per questo nella poesia di Bregoli l’utilizzo ricorsivo del lemma algebrico crea una misura all’improbabile contenimento dell’eterogeneità del linguaggio in versi: “Scrivo le coordinate dei giorni che non furono, quelli incisi sull’ascissa di un nero perfetto. Scrivo una parola scorticata, tutta detriti. Quella dove – lì soltanto – sillaba il perdono.”; “(A invaderci talvolta/è un bisogno d’ordine, disgregare/il continuo indistinto delle vite,/ parcellizzarle per addensarne il senso/ rendere il vuoto confutabile.”.
Poi c’è l’isola Patmos: “secondo un’antichissima tradizione cristiana, l’apostolo Giovanni fu qui esiliato dall’imperatore Domiziano dal 95 al 100 d.C. Durante questo periodo egli ebbe le sue famose visioni da Gesù, che portarono alla redazione del Libro delle Rivelazioni. Nel mito l’elemento greco si compiace di intrecciare una sua propria leggenda con le origini di Patmos, collegandole con gli dei dell’Olimpo e con i mitici eroi dei poemi omerici. Una leggenda racconta che era nascosta sotto l’oceano ed era visibile solo quando la dea della Luna, Selene, brillava su di lei.”.
Esiste nondimeno un altro aspetto nevralgico legato all’andatura lessicale di “Notizie da Patmos” che trova un passaggio aperto nelle parole di Niva Lorenzini: “La tradizione, sia italiana che europea, diviene modo di misurare la propria disgregazione e insieme la propria resistenza”, e di fatto in Bregoli il fare esistenzialista è chiarito fin dalle prime righe di modo che non sia un ingombro tematico e lasci al linguaggio il compito di svelarsi nella sua intenzione accorpante: “Serviva dire la sradicatura/fiondare le radici contro il cielo/ e dopo tacerne, come si / fa per i numeri ricevuti in sogno” e successivamente “ Se scrivo è per non dire, cabotare/il bianco della resa, i giorni miti/del nostro indocile armistizio. Scrivo/la vena innominata della pietra, veglio l’angolo illeso del respiro/quel suo retaggio fossile.”, ma il tema esiste e non è riducibile all’incompiutezza come destino imprescindibile della natura umana; il tema è il padre simbolico che appare tra i versi con una cadenza simile a quella di una lampadina che sta per collassare e manda luce a intermittenze irregolari. Si rinnova quindi il potenziale aggregante della scrittura e la misura di cui accennavamo inizialmente diventa al tempo stesso contenitore e fucina: “[…] tentare l’unione,/congiungere valva a valva/le mani che vi hanno smarrito un mare, riannodare voce a respiro. E noi la lingua della divisione , dialetto incendiario/dove si parla un unico silenzio.”.
Nella tradizione psicoanalitica novecentesca una delle figure portanti la questione dell’identificazione soggettiva è “il nome del padre”. Brevemente: “Il Nome-del-Padre non coincide con il padre reale, corrisponde piuttosto alla funzione paterna. Nell’orientamento lacaniano il Nome-del-Padre è un operatore psichico che consente al soggetto di accedere alla funzione simbolica, alla possibilità cioè di dare un senso all’esperienza. A rigore, il Nome-del-Padre è la condizione di possibilità perché un soggetto diventi soggetto d’esperienza, di un’esperienza propriamente umana, che per Lacan significa avere una trama significante.”. In questa accezione “Notizie da Patmos” appare come il racconto di un noi mai creato, un noi incapace di dire di un’esperienza che non è avvenuta.
Abbiamo quindi una bussola linguistica incarnata nel linguaggio duro delle scienze, una bussola che si fa misura e fucina di un linguaggio altrimenti imprendibile, abbiamo un crogiolo di simbologie scaturite da un titolo (Patmos, l’isola sommersa che emerge grazie al desiderio, che è illuminata dalla volontà di chiarirla) e un riferimento analitico di accezione psichica, il padre del simbolo che dona la possibilità di dare un senso all’esperienza.
Dunque le perplessità iniziali sulla veridicità di questa affermazione si sono finalmente sciolte: “ Le parole di Bregoli riemergono da un fondale che sembra poco rassicurante ma hanno il coraggio della realtà”. Ipotizziamo che la realtà in questo libro disponga le sue fondamenta su un’esperienza revisionata dalla storicizzazione: “[…] Quell’idea /di un padre che sia nome condiviso /colpevole soltanto del suo amore/ sola cattività che rende liberi. // E la bugia, specialità del cinema/di spacciarsi per vita compiuta. Intera./(Soltanto un figlio può/supporla vera.)”; e che, come per la visione mitica di Patmos, tale realtà si palesi per bagliori, come una pulsazione o un balbettio: “Comincia tutto ripetendo un nome/ da un buio prossimo, colpo di coda/di qualche creatura d’abisso. Dopo/è la stagione del balbettio – certe muschiose lallazioni – infine frasi/ fatte, proverbi storpiati, eserghi/o falsi. Rovine che non sorreggono.”; che per essere decifrato questo bagliore abbia bisogno di un linguaggio che sincronicamente lo renda significativo (il lemma scientifico) e lo mantenga sul fondale (la poesia).
Il coraggio della realtà di cui parla Marelli sta nel riprodurre significativamente quella storia che, come l’isola di Patmos, emerge e scompare lasciandoci solo la visione di una parola.
Fabio Prestifilippo
(Tratta dalla pagina Facebook di Residenze Poetiche – post del 29/09/2020).
Si può leggere una selezione di poesie tratte da “Notizie da Patmos” al link qui indicato.
