Trentatreesimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è Ballate, con il confronto fra poesie di Cavalcanti, Coleridge, Sanguineti, Ceronetti.
Dice Wikipedia: “La ballata è una forma di poesia chiamata anche canzone a ballo perché destinata al canto e alla danza, è un componimento che si trova in tutte le letterature di lingua romanza […]. Inoltre era particolarmente caratteristica della poesia popolare Britannica e Irlandese dal periodo del Tardo Medioevo fino al 1800; usata ampiamente in Europa e più tardi in America, Australia e in Nord Africa. Questo tipo di poesia fu spesso utilizzata dai poeti e dai compositori a partire dal 1700 per produrre ballate liriche.”
Nella nostra proposta di ballate messe a confronto partiremo dal XIII secolo con uno dei massimi poeti di tutti i tempi: Guido Cavalcanti. Proponiamo la sua più celebre ballata, per l’esilio dalla patria e dalla donna amata, segnata tutta dall’elegia straziante (“Tanto è distrutta già la mia persona”) che nasce dalla percezione dell’impossibilità del ritorno, della ricongiunzione. Il distacco è così lacerante da portare alla dissoluzione dell’io (“vita m’abbandona; / e senti come ’l cor si sbatte forte / per quel che ciascun spirito ragiona”), come in molta produzione di Cavalcanti; l’unica cura possibile per chi si sa “servo d’Amore” è la “salute” offerta dal “valore” della donna amata, condannata però a restare distante, inattingibile. Solo tramite e anello di congiunzione fra amato e amata è appunto questa “ballatetta”, “servente” dell’autore che chiede “pietate” per chi è solo “voce sbigottita e deboletta / ch’esc[e] piangendo de lo cor dolente”. La perfetta compostezza formale, l’armonia delle rime, il controllo del ritmo rendono questa ballata un capolavoro assoluto del genere, un riferimento imprescindibile della letteratura mondiale.
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GUIDO CAVALCANTI
(Da “Rime” – XIII secolo)
XXXV.
Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’ a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.
Tu porterai novelle di sospiri
piene di dogli’ e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.
Tu senti, ballatetta, che la morte
mi stringe sì, che vita m’abbandona;
e senti come ’l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch’i’ non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l’anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.
Deh, ballatetta mia, a la tu’ amistate
quest’anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu’ ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se’ presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d’Amore».
Tu, voce sbigottita e deboletta
ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
va’ ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore.
L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
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