Ventunesimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è La sera, con il confronto fra poesie di D’Annunzio, Pascoli, Foscolo, Saba.
La sera è protagonista di molte poesie della letteratura italiana e internazionale: la scelta qui proposta comprende poesie che sono di fatto dei classici, praticamente presenti in tutte le antologie. […]
Tutta attraversata da ricordi famigliari, fino alla regressione infantile è “La mia sera” di Pascoli. La poesia parla di una sera di “tacite stelle”, dopo un giorno “pieno di lampi”, dopo una “aspra bufera” che ha messo a dura prova la natura (“La parte, sì piccola, i nidi /nel giorno non l’ebbero intera.”). Torna uno dei classici temi pascoliani: il “nido”, quel nido che, come per le rondini della poesia, anche per l’autore è stato turbato dai drammi famigliari ben noti. Anche qui la sera si associa al concetto di “pace”, serenità che può essere ritrovata solo nel grembo materno e che si concretizza con le onomatopee finali e quell’insistente invito: “Dormi”, ripetuto come una nenia, “un canto di culla”. Tutto è sospeso, in bilico fra le “voci di tenebra azzurra” e il “nulla”.
Dello stesso anno, ma di tutt’altra impronta stilistica e contenutistica, “La sera fiesolana”, che risente dell’esperienza panica, elemento chiave dell’estate alcionia dannunziana. Con evidenti riferimenti alla forma poetica della lauda, di ascendenza francescana, la sera è celebrata nella sua epifania ricorrendo a preziose assonanze, rime interne e irregolari, sinestesie, allitterazioni (“il fruscio che fan le foglie”), figure iterative (“pel cinto che ti cinge”), altre preziosità. La forma si basa su strofe lunghe e alternanza di versi lunghi e brevi che creano un ritmo unico, sognante, innovativo rispetto alla metrica tradizionale. La poesia è attraversata da una sensualità evidente che culmina nell’ultima strofa in cui “il mistero sacro dei monti”, i “reami d’amor” alludono a “un divieto”, un segreto pulsare del mondo che si può appena sfiorare, intuire per essere vissuto nella sua pienezza.
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GIOVANNI PASCOLI
(da “Canti di Castelvecchio” – Zanichelli, 1903)
LA MIA SERA
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.
È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Né io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don… Don… E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra…
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.
[…]

L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
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