Settantanovesimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è Cavalieri con il confronto fra poesie di Ariosto, Tasso, Tassoni.
La poesia epico-cavalleresca è uno dei generi di più grande prestigio e tradizione letteraria, capace di segnare e contraddistinguere la letteratura italiana, rendendola nota e riconoscibile nel mondo. Il confronto di oggi sceglie quindi di fare un salto nel passato, per prendere in esame gli incipit di tre poemi epico-cavallereschi molto noti a tutti, non foss’altro per la formazione scolastica imprescindibile di ciascuno.
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Di ben altro tenore ovviamente l’incipit del Tassoni, in cui il canone della poesia epico-cavalleresca viene sottoposto a manipolazione a fini satirici. Il tema viene qui sinteticamente esposto dalla ottava introduttiva che tratta l’argomento del poema, in una sorta di didascalia ulteriore per il lettore. L’impronta paradossale del poema emerge con chiarezza fin dalla prima ottava in cui protagonista dell’opera è “un’infelice e vil secchia di legno”: non un eroe in carne ed ossa ma un oggetto e per di più vile, ossia scevro di qualunque elemento che possa contribuire a conferire onore agli uomini che se la contenderanno. La stessa invocazione a Febo nulla ha di quel tono composto che abbiamo letto nel Tasso; l’ultimo verso della prima ottava desacralizza totalmente l’invocazione, facendola degradare quasi a boutade. La seconda ottava che ripropone il classico elogio al signore risulta ancora più sferzante: consapevole che l’opera non potrà servire a magnificare il valore e l’onore del signore, il Tassoni presenta il suo poema come piacevole diversivo (“ricrearti il ciglio”) a cui il signore potrà dedicarsi nei ritagli di tempo, solo quando non sarà distolto dai maggiori impegni (quali poi?) che lo riguardano. Il mito e il valore etico del poema viene totalmente capovolto e banalizzato tanto che, come si dice nell’ultima ottava, avviene una metamorfosi tragicomica per la quale “una secchia” senza alcun valore può diventare oggetto di aspre contese alla pari di Elena nell’Iliade.
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ALESSANDRO TASSONI
(Da “La secchia rapita”, 1621)
ARGOMENTO.
Del bel Panaro il pian, sotto due scorte,
A predar vanno i Bolognesi armati;
E da Gherardo altri condotti a morte,
Altri dal Potta son rotti e fugati.
Gl’ incalza di Bologna entro le porte
Manfredi, i cui guerrier co’ vinti entrati
Fanno per una secchia orribil guerra,
E tornan trionfanti alla lor terra.
I.
Vorrei cantar quel memorando sdegno
Ch’ infiammò già ne’ fieri petti umani
Un’infelice e vil secchia di legno,
Che tolsero ai Petroni i Gemignani.
Febo che mi raggiri entro lo ’ngegno
L’orribil guerra e gli accidenti strani,
Tu che sai poetar, servimi d’aio,
E tiemmi per le maniche del saio.
II.
E tu, nipote del rettor del mondo,
Del generoso Carlo ultimo figlio,
Ch’ in giovinetta guancia e ’n capel biondo
Copri canuto senno, alto consiglio;
Se dagli studi tuoi di maggior pondo
Volgi talor per ricrearti il ciglio,
Vedrai, s’ al cantar mio porgi l’orecchia,
Elena trasformarsi in una secchia.
(Da “Alessandro Tassoni, La Secchia rapita con annotazioni e col canto dell’Oceano”, Firenze, Gregorio Chiari, 1824)
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L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
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