Matricaria di Carlo Tosetti
I.
Lo dici avvolto d’oblio,
ma quel dirigibile
– tremulo e grigio,
deduco impercetto –
vacuo sostava
intorno a Natale,
d’istanti pochi,
appeso al niente,
davanti al balcone, silente.
II.
Non mi comprasti
mai l’azzurre gemme
e nemmeno l’ippocampo,
eppure m’inzuccavo
ai carretti del porto:
lì vendono il turchese
e l’odore dei cesti
– dei cavallucci secchi –
è sintesi d’arido mare.
III.
Alle cave roventi
(fossili d’ammoniti
scalpellavi e di felci)
a volte la montagna
cedeva i pezzi ameni;
l’uovo di pietra, ancora,
è schivo, come offeso,
è tumido all’ombra
del faggio, riposa.
IV.
Con olio e limone
a splendere cosparsa,
crogiolando al lago
e quando il pesce pure
diffida l’acqua ch’è rafferma,
fra gli schiocchi rari
– il canneto, sempre,
fitto è la frescura –
la tinca colsi nei pantani.
V.
Ricordi quando
interrammo i crochi?
L’intimo conforto
– mai lo confessammo –
nel veder che sbocci
l’incipiente…
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