Su “La macchina del tempo” di Raffaele Floris (puntoacapo, 2022)

Il tema del tempo, del suo inesorabile trascorrere e del suo trascinare e consumare tutto con sé, alterando e annullando le vite, è uno dei motivi principi della riflessione ontologica sul senso dell’esistenza, sulla nostra natura e sul nostro destino di uomini, di individui singolari che si confrontano con la complessità del mondo, secondo ragioni e finalità che risultano impossibili da circostanziare pienamente: in sostanza enunciati indecidibili.

Raffaele Floris conduce nei suoi versi una riflessione misurata, a tratti malinconica, sulla “macchina del tempo” in cui si intrecciano indissolubilmente fatti e intenzioni, accadimenti e memoria, con quel suo linguaggio fermo e insieme pacato al quale ci ha abituato in tutti i suoi lavori, con coerenza, con indiscutibile riconoscibilità, oltre che dello stile, della sua idea poetica e culturale nella sua accezione più larga. Con i piedi ben piantati nella tradizione poetica, appresa con la frequentazione attenta e sensibile dei maestri, soprattutto novecenteschi, Floris ci offre un’opera in cui la lingua proposta, funzionale ai temi esistenziali che vi si affrontano, è sorvegliata e centellinata in ogni singola declinazione fonica e semantica, tutto centrato su una koinè di fondo in cui la misura, l’equilibrio si impongono naturalmente, per costituzione, senza nessun artificio o forzatura. Questa pervasiva “leggerezza” dello stile, anche quando la materia di cui si tratta è in realtà viva e incandescente, come per certi temi sociali, contribuisce alla lucidità dell’argomentazione, a una prevalenza del contenuto esistenziale per il quale la forma, curatissima, diventa strumento di chiarezza, di esposizione disincantata, mediata dalla lingua per elevare il senso, renderlo tangibile.

Il libro è strutturato secondo un’architettura rigorosa in cui a gruppi di tre poesie (trittici che vedono unità a livello contenutistico), composte da tre quartine in endecasillabi sciolti o a rima alternata, si alterna una poesia a strofa singola di lunghezza variabile, sempre in endecasillabi sciolti, la quale si riferisce a precise situazioni storiche e sociali, in cui si testimonia l’ingiustizia e la crudeltà della comunità degli uomini irrispettosa della sua stessa dignità (“non c’è scampo / a quello strazio assurdo, a quel dolore”), del valore di ogni singolo individuo. La trama geometrica della raccolta (15 gruppi di 4 composizioni, terminate da un trittico finale) vuole così restituire un ordine in cui il lettore possa orientarsi, stante invece la natura di per sé caotica e contraddittoria dell’esistenza, di tutti e di ciascuno, dove “la macchina del tempo / è solo un trucco”. La poesia è allora la leva che operando sul fulcro vivo dell’esperienza e della testimonianza riporta in superficie brevi attimi di consapevolezza, lame di luce che ritagliano prospettive di senso su un fondale altrimenti opaco (“un’improvvisa risonanza / di luce nel morire delle cose”), forse indecifrabile per naturale sua essenza, ma permeabile alla parola, che è atto di rivolta silenzioso, strumento di conoscenza, “Forse perché cercare altrove / è come ricongiungersi, o morire”.

È sempre un’esperienza gratificante confrontarsi con una poesia, come quella di Floris, che non rinuncia al rigore, che sa tenere alta l’asta dello stile e della compostezza formale, senza rinunciare al bisogno di incidere sulla realtà, confrontarsi con la concretezza dell’esistenza individuale e collettiva, campo vivo della sua azione.

Immagine della copertina del libro tratta dal sito dell’editore:
https://www.puntoacapo-editrice.com/product-page/la-macchina-del-tempo-raffaele-floris

Pubblicato da Fabrizio Bregoli

Fabrizio Bregoli, nato nel bresciano, risiede da vent’anni in Brianza. Laureato con lode in Ingegneria Elettronica, lavora nel settore delle telecomunicazioni. Ha pubblicato le raccolte di poesia: “Cronache provvisorie (VJ, 2015), “Il senso della neve” (puntoacapo, 2016), “Zero al quoto” (puntoacapo, 2018), “Notizie da Patmos” (La Vita Felice, 2019). Ha inoltre realizzato per i tipi di Pulcinoelefante il libriccino d’arte “Grandi poeti” (2012) e per la collana Fiori di Torchio la plaquette “Onora il padre” (Serégn de la memoria, 2019). Sue opere sono incluse in “Lezioni di Poesia” (Arcipelago, 2015) a cura di Tomaso Kemeny e in “iPoet Lunario in Versi 2018” (Lietocolle, 2018), sulle riviste “Il Segnale”, “Atelier”, “Alla Bottega”, “Le voci della luna”, “Il Foglio Clandestino”, “Frequenze poetiche” e in numerose antologie e blog di poesia. È fra gli autori aderenti e censiti sul sito Italian Poetry, nato per la diffusione della poesia italiana nel mondo. Gli sono stati assegnati numerosi premi fra i quali: per la poesia inedita, i Premi “San Domenichino”, “Il Giardino di Babuk”, “Giovanni Descalzo”, “Dante d’Oro” , il “Premio della Stampa” al Città di Acqui Terme; per la poesia edita i Premi “Guido Gozzano”, “Rodolfo Valentino”, “Città di Umbertide” e il “Premio Letterario Internazionale Indipendente”. È stato inoltre finalista ai Premi Caput Gauri, Lorenzo Montano e Bologna in Lettere. Sulla sua poesia hanno scritto Tomaso Kemeny, Giuseppe Conte, Ivan Fedeli, Mauro Ferrari, Piero Marelli, Vincenzo Guarracino, Corrado Bagnoli, Sebastiano Aglieco, Paolo Gera, Sergio Gallo, Stefano Vitale, Eleonora Rimolo, Pierangela Rossi, Enea Roversi, e molti altri. Collabora come recensore con il sito “CasaMatta", con la pagina Facebook “Poeti Oggi” e fa parte della redazione di Laboratori Poesia per cui cura la rubrica “Poesia a confronto”.

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