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Su “Autopsia (reiterata)” di Dario Talarico (puntoacapo, 2022)

Non è impresa semplice riunire e trovare sintesi a poesia, filosofia e logica (quest’ultima branca insieme della filosofia e della matematica, a ben vedere) in un progetto di scrittura: sembrano discipline così lontane, ispirate a criteri di sviluppo e di indagine razionale così diversi da apparire inconciliabili, se non a costo di violarne in parte la struttura, la natura profonda. Proprio per questo appare affascinante la sfida che Dario Talarico ha deciso di intraprendere con questo libro, consapevole che se poesia è “in sé” “amore della sconfitta” (pag. 53), non si dà poesia senza correre rischi, senza intervenire con coscienza sul linguaggio, portarlo al suo limite estremo in cui si congiungono contraddizione e verità, necessità di dire e ricaduta obbligata nel silenzio. Ne nasce un libro ricco, denso di significati, capace di ibridare più generi fra i quali l’aforisma, il proverbio, la sentenza, il “ricordo” guicciardiniano, il sillogismo sapienziale: l’andamento poematico che gioca sulla reiterazione, sulla multi-testualità che percorre l’intera articolazione della scrittura, procede per “referti” del reale, scanditi con precisione chirurgica secondo una procedura che “è uno scrivere dopo aver smesso di scrivere” (pag.10), sezionare un mondo che si dà come compiuto e superato, indagabile solo come un cadavere, come relitto del suo stesso accadere. Da qui la figura allegorica dell’anatomopatologo, autore dell’opera e sua negazione, se, alla fine, scopre che è proprio il suo il corpo a essere stato oggetto dell’indagine.

Tutte le composizioni si caratterizzato per la brevità, per l’assoluto controllo sul linguaggio, parco di aggettivi (“dove finiscono i concetti / iniziano gli aggettivi” – pag. 51) e di figure retoriche, sull’uso circospetto della punteggiatura (in particolare del trattino e dei due punti che creano stacco, tensione, cesure originali), sulla polisemia costruita per via logica, attraverso il ricorso alla proposizione interrogativa, all’insinuazione del dubbio o di un’alternativa sempre praticabile in un bivio di senso in cui spetta al lettore districarsi, senza peraltro possibilità o presunzione di indicare una strada univoca. Assistiamo a un linguaggio nel conflitto del suo darsi, del suo indagarsi fino in fondo, fino al limite della sua praticabilità che è al tempo stesso sua realizzazione e suo fallimento; come avviene anche per l’epilogo dell’opera in cui vediamo una combinazione intelligente di sofisma e paralogismo, che porta a un’emblematica riduzione al nulla di ogni espressione verbale tentata e tentabile, quasi in una negazione dell’opera stessa come unica via per riscattarla, esattamente dove “allora nulla è mai nato” (pag.85). Sono versi, questi di Talarico, in cui il lettore deve tenere alta la guardia, contemporaneamente sul piano razionale e sul piano emotivo, oltre la consunzione necessaria di qualunque compiacimento lirico o immaginifico: una lingua che vuole “riempire il vuoto – col vuoto” (pag. 78), perché occorre “essere piccoli per il mondo” (pag.32), ma è proprio in questa umiltà la forza bruciante di una parola netta, mai compromessa, in conflitto inesausto con sé stessa per potersi fare voce, fino al limes stesso del silenzio. “Questo solo un poeta / deve sapere: il mestiere di chi parla è tacere” (pag.73), dice Talarico, con un evidente riferimento a Wittgenstein come il sottotitolo dell’opera vuole esplicitamente alludere.

Noi abbiamo trovato in questo lavoro una voce autentica, disinibita e coraggiosa, non auto-referenziale o compiacente, tale da farci indicare Dario Talarico come un autore che merita di essere seguito, come una delle voci più particolari e originali della scena poetica contemporanea.

Immagine della copertina tratta dal sito dell’editore: https://www.puntoacapo-editrice.com/home

Per l’acquisto del libro sul sito dell’editore:

https://www.puntoacapo-editrice.com/product-page/autopsia-reiterata-dario-talarico

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