
È sempre una gioia accogliere una nuova autrice, alla sua prima pubblicazione nel mondo della poesia; anche se il nome di Camilla Ziglia ci era ben noto da anni, essendosi saputa mettere in evidenza con numerosi suoi inediti in letture pubbliche, in premi letterari, in anticipazioni su blog. Finalmente sceglie di rompere gli indugi e di offrirci il suo primo lavoro edito, caratterizzato da un’impostazione molto unitaria e coerente, cosa che non sempre accade per le opere prime che, spesso, sono raccolte eterogenee delle prime prove poetiche di un autore. In questo caso, dimostrando una capacità selettiva già molto matura, la Ziglia ci offre testi che sono tutti centrati sul suo luogo dell’anima: il lago, con quell’elemento acquatico che ispira con evidenza il titolo. Lago come mondo intermedio, per dirla con Luciano Erba, fra fiume e mare, e quindi soglia, breccia, spazio di confine e di congiunzione. E qui parliamo soprattutto del lago di Garda, già capace di ispirare autori importanti, dalla classicità (Catullo) passando per D’Annunzio fino ai nostri giorni (Franca Grisoni), non dimenticando Pound con il suo “Studio d’estetica”, con il Dante di Sirmione con tanto di “bella pesca di sardelle” e battuta in dialetto bresciano; e Camilla Ziglia è orgogliosamente legata alle sue origini bresciane, alla sua terra, senza inutili campanilismi ma per naturale spirito di appartenenza.
Queste poesie sono, per voce dell’autrice, rivelazioni: termine a cui però non si deve dare un valore necessariamente orfico o oracolare; la parola rivelazioni va intesa invece come la emersione, soprattutto dagli elementi naturali, che sono molto frequenti in questi versi, di significati ulteriori, brecce verso quell’altrove che è lo spazio della poesia. Le composizioni per lo più brevi, in verso libero, concise e essenziali nella scelta terminologica (vengono omesse le aggettivazioni decorative o superflue, in ciò fedele la Ziglia alla lezione di Pound) sono delle istantanee (“Fotogrammi” era il titolo provvisorio della raccolta) che immortalano l’istante, registrano sulla pagina il mistero di un cosmo di cui siamo parte, ma sempre sfuggendoci la reale ragione per cui vi apparteniamo.
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