Site icon La poesia di Fabrizio Bregoli

Omaggio a Dante

Da Inferno, XXIV, vv. 91-151

Tra questa cruda e tristissima copia
corrëan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia:

con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.

Ed ecco a un ch’era da nostra proda,
s’avventò un serpente che ’l trafisse
là dove ’l collo a le spalle s’annoda.

Né O sì tosto mai né I si scrisse,
com’el s’accese e arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse;

e poi che fu a terra sì distrutto,
la polver si raccolse per sé stessa
e ’n quel medesmo ritornò di butto.

Così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa;

erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce.

E qual è quel che cade, e non sa como,
per forza di demon ch’a terra il tira,
o d’altra oppilazion che lega l’omo,

quando si leva, che ’ntorno si mira
tutto smarrito de la grande angoscia
ch’elli ha sofferta, e guardando sospira:

tal era ’l peccator levato poscia.
Oh potenza di Dio, quant’è severa,
che cotai colpi per vendetta croscia!

Lo duca il domandò poi chi ello era;
per ch’ei rispuose: “Io piovvi di Toscana,
poco tempo è, in questa gola fiera.

Vita bestial mi piacque e non umana,
sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana”.

E ïo al duca: “Dilli che non mucci,
e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
ch’io ’l vidi omo di sangue e di crucci”.

E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,
ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,
e di trista vergogna si dipinse;

poi disse: “Più mi duol che tu m’ hai colto
ne la miseria dove tu mi vedi,
che quando fui de l’altra vita tolto.

Io non posso negar quel che tu chiedi;
in giù son messo tanto perch’io fui
ladro a la sagrestia d’i belli arredi,

e falsamente già fu apposto altrui.
Ma perché di tal vista tu non godi,
se mai sarai di fuor da’ luoghi bui,

apri li orecchi al mio annunzio, e odi.
Pistoia in pria d’i Neri si dimagra;
poi Fiorenza rinova gente e modi.

Tragge Marte vapor di Val di Magra
ch’è di torbidi nuvoli involuto;
e con tempesta impetüosa e agra

sovra Campo Picen fia combattuto;
ond’ei repente spezzerà la nebbia,
sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto.

E detto l’ ho perché doler ti debbia!”.

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