Trentacinquesimo appuntamento con la rubrica “Poesia a confronto” sul blog “Laboratori Poesia“.
Il tema affrontato oggi è Dire addio, con il confronto fra poesie di Ungaretti, Auden, Bishop, De Angelis.
Perdere una persona cara è sempre un avvenimento tragico, irrimediabile. È una delle esperienze che segna maggiormente le nostre vite, lasciando spesso delle ferite insanabili, sollevando interrogativi ai quali si è impossibilitati a rispondere. Il tema del distacco, del commiato è da sempre appannaggio profondo della parola poetica. Come sostiene anche Rilke, in fondo, “noi viviamo per dire sempre addio”.
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Auden sceglie invece il blues (appartenente alla tradizione dei neri d’America, genere musicale ancora oggi molto noto) per dare corpo alla perdita dell’amato. A prevalere in questa poesia è la figura retorica dell’iperbole: agli accadimenti quotidiani, alla natura, all’ordine stesso del cosmo viene chiesto di sconvolgersi, arrestarsi nel loro ordinario accadere, perché tutto deve essere vestito a lutto, specchio nero della perdita. La dura realtà è riassunta in un verso semplice, netto: “I thought that love would last forever: I was wrong”.
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WYSTAN HUGH AUDEN
(Da “Four Cabaret Songs for Hedli Anderson”, 1940)
FUNERAL BLUES
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Era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est, il mio Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo domenicale,
il mio mezzogiorno, la mia mezzanotte, la mia voce, la mia canzone;
pensavo che l’amore durasse per sempre: sbagliavo.
Le stelle non servono a nulla, ora; spegnetele tutte,
impacchettate la luna e smantellate il sole,
prosciugate l’oceano e spazzate via i boschi;
perché niente ora può essere di alcun conforto.
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
L’appuntamento con “Poesia a confronto” è a martedì prossimo.
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