Sul lit-blog Laboratori Poesia trovate oggi la nota di lettura alla nuova raccolta di poesie “Bestia Divina” (La scuola di Pitagora Editrice, 2020) di Mario Fresa, un lavoro molto originale e controcorrente.
Dalla nota di lettura:
Addentrarsi nella poesia di Mario Fresa è un’esperienza non semplice, ci impone di confrontarci in un rapporto dialettico serratissimo con il linguaggio che, abbandonando l’uso comune e referenziale che lo caratterizza nella comunicazione quotidiana o formale, si libera da qualunque costrizion.e e ritorna libero di esprimersi in associazioni imprevedibili, costruire nessi inattesi dove il riferimento al senso comune risulta inevitabilmente fuorviante. Ne deriva una poesia ardua, a tratti criptica se non enigmatica, tanto che lo stesso autore provocatoriamente sceglie di inserire come coda finale del libro una sezione di “soluzioni” che anziché sbrogliare l’intrico poetico introduce ulteriori livelli interpretativi che si stratificano a quelli supposti dal lettore, aggiungendo un ulteriore strato semantico al quadro polisemico fitto e di complessa decodificazione, se ci si affida al solo piano razionale. Quanto ci chiede di fare Mario Fresa pare proprio essere la messa in ἐποχή del classico pregiudizio causale che ci porta a giudicare e catalogare il mondo, l’idea che a ogni evento consegua con regole preordinate una sequenza di altri eventi a esso connessi e giustificabili a partire dal suo presupposto. Il linguaggio poetico è altro, le intersezioni che vi si originano sovvertono il castello di carta delle nostre convinzioni, aprono un varco conoscitivo in cui si smarriscono le consuete coordinate cartesiane; si accede piuttosto a uno spazio complesso dove la componente immaginaria ha la stessa dignità di quella reale: è dalla loro combinazione che si accede a un quadro non scontato e dunque asfittico del mondo, per quanto comporti la distorsione delle prospettive date per sicure, per certe (“Oggi è una stanza secolare: proviamo / a darle un volto […]).
[…]
Svenimenti, cedimenti, inciampi, contorsioni linguistiche, esperienze oniriche sul confine dell’incubo: sono questi i procedimenti tipici del linguaggio di Fresa – i novizi sono avvertiti: astenersi deboli di fegato, seguaci della poesia facilmente intellegibile, palati che non amano rischiare, che non sanno cimentarsi con un piatto di nuova creazione, fuori schema tanto da risultare scomodo. La parola poetica, d’altronde, non va capita; va vissuta dal lettore, acquisita e fatta parte della sua interiorità, a domare quell’inferno che è in ciascuno di noi: “e quindi avanti per dire almeno forse, vietare / malattia, verrà”, “Il fazzoletto è aperto e inferno. / Giura che sarà questa la verità”, tuttavia “Poi, di sicuro, sparirà”.
[…]
In definitiva, come sostiene Fresa, è quando si precipita e ci si abbuia che si può sperare davvero di rinascere (p.61), e questo avviene con il “Dire, cioè: Abbasso la realtà” (p.60): è proprio questo stordimento salutare che la sua poesia vuole – e ci sa – offrire.
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