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“Tropaion” di Raffaela Fazio – Recensione su Laboratori Poesia

Oggi su Laboratori Poesia la nota di lettura all’ultimo libro di poesia di Raffaela Fazio dal titolo “Tropaion” (puntoacapo, 2020).

A colpire da subito, dopo aver completato la lettura di questo nuovo libro di Raffaela Fazio, è la compattezza contenutistica e formale, la sua compiuta circolarità, la declinazione attraverso molteplici punti di vista di una poesia che indaga l’esistenza in tutta la sua conflittualità mediante la simbologia bellica, pervicacemente adottata come formula espressiva in tutto il libro. La battaglia che si accampa e si confronta in questi versi non è mai esplicitamente contestualizzata, per quanto il riferimento alla metafora amorosa sia di per sé evidente e lasci quindi intendere un’esperienza autobiografica qui sapientemente trasfigurata, ma, in senso più lato, il polemos eracliteo citato in esergo ci fa pensare a un sostrato più profondo, alla rappresentazione di una lotta interiore che, oltre a comprendere un conflitto interno all’io, è anche un rapporto dialettico fra io e mondo, il tentativo di un raccordo fra un sé problematicamente diviso e un altro da sé in cui cerca di essere accolto, infiltrandosi dalla “fenditure” come fossero spiragli.

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Entrando nel merito del procedimento poetico, a guidare la scrittura della Fazio è il senso della vista: “Non ho che lo sguardo”, si dice nell’incipit categorico di pag.64; come lei stessa afferma, nella sua poesia non si dà “parola” se non è prima veicolata dallo sguardo, dall’attraversamento delle cose (“Vedo il mio occhio: / vorrebbe farsi mondo.”, pag.34). Lo sguardo può essere lo strumento per isolare il tempo, afferrare il divenire (ecco ancora Eraclito), benevolo nella sua lentezza salvifica, in cui occorre però rintracciare “l’evento / – istante che artiglia / e mette in fuga / la morte / o le dà senso”, in una sorta di revisione personale dell’heideggeriano “essere per la morte”. Lo sguardo consente inoltre di rintracciare la “ferita estrema”, la sua “vena imperfetta” grazie alla quale si “arriva nelle cose” (pag.65) come risultato della ferocia del conflitto dentro di sé e contro di sé, per riscoprirsi.

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