Se penso alla misura del mio tempo
arretro alla stagione della scuola,
ai libri ravvivati dagli inserti
per fare sopportabile la storia,
a un quadro d’un maestro impronunciabile
– o solo una lacuna di memoria –
fiammingo testimone del progresso,
a un quadro sotterfugio di mercanti
tra monete compìti nella conta
del retto dare-avere calvinista.
Erede indegna alligna la finanza
un don Abbondio acrobata del dire
virtù della moderna stravaganza
dell’acciuffare banconote d’aria
senza il conforto d’oro che tintinna.
Se ancora ci ripenso, a dismisura
rimpiango gli esercizi di grammatica
delizia per l’infanzia alla graticola,
il semplice futuro di quegli anni,
allo smagato labbro l’ottativo
e l’aura socialista del supino
ribelle alla sua scorza di passivo,
il congiuntivo tremulo di fiato,
la prodigalità del partitivo
ed a stento si compita il dettato
d’un tempo scarno di superlativo,
d’un mondo declinato al genitivo.
Da “Cronache provvisorie” (VJ Edizioni, 2015)